martedì 9 ottobre 2012

02 Ottobre 2012 – Primi giri… di spinning!


Era da un bel po’ di tempo che accarezzavo l’idea di provare la tecnica dello spinning. 

Per i “principiantoni”, proprio come me insomma, si tratta della tecnica di pesca mediante l’uso di esche artificiali. Fin’ora infatti avevo praticato la pesca “a passata” o pesca “al colpo” dove come esca avevo usato principalmente bigattini o, come in Sardegna, alcuni chicchi di mais dolce. In questo tipo di pesca si lascia che l’esca, vegetale o animale, si muova secondo la corrente o, nel caso dei laghi, che rimanga placidamente adagiata sul fondo in attesa che il pesce di turno se la mangi abboccando all’amo. Nello spinning invece si simula, con esche artificiali, il movimento di un pesce vivo, magari malato, ferito o comunque in difficoltà, per attirare i cosiddetti pesci predatori come, tra i più conosciuti, i cavedani di buone dimensioni, il persico reale, il persico trota (conosciuto anche col nome di “boccalone” o, come lo chiamano gli americani, Black Bass), il luccio, il lucio perca, il siluro etc. Tutti questi pesci sono chi più e chi meno piuttosto aggressivi e si lanciano sulla preda per nutrirsi. C’è chi li insidia con esche vive, come piccole alborelle o “rosciole”, chi con pesciolini morti, mentre nello spinning, come ho già detto, si adoprano tutta una miriade di esche artificiali dai comportamenti più disparati e, a volta, piuttosto bizzarri. 

Premetto che ancora sono alle prime armi e che le mie conoscenze di base sono piuttosto scarne sull’argomento. So però che esistono esche artificiali rotanti, come i cucchiaini, esche ondulanti, pesciolini finti, ranocchiette finte, lombrichi di silicone, per passare poi ad esche “strane” come gli spinner bait, i jerk bait che, pur non riproducendo pesci, vermi o altri animali, attirano l’attenzione del pesce scatenando i loro appetiti predatori. Va detto che per questo tipo di pesca è assolutamente indispensabile il mulinello, possibilmente di buona capacità, che sia infatti in grado di gestire agevolmente anche fili di diametro abbondante a partire dallo 0.22. Il movimento simulato infatti è dato dall’azione di recupero che avviene dopo i lanci in acqua. A tale scopo le canne da spinning sono generalmente molto più corte di quelle da passata e molto più rigide. Devono essere in grado di esercitare una buona azione di punta per effettuare lanci lunghi ed avere una grande sensibilità nelle ferrate dato che non si utilizzano galleggianti o altri sistemi di segnalazione dell’abboccata.

Fino ad oggi non possedevo una canna da spinning. Ho quindi fatto i primi tentativi utilizzando la canna “Pescanguille” da 3.50 metri. Dopo un primo timido e fallimentare tentativo al fiume Nera, teatro delle tante catture “a passata” raccontate in questo diario, mi sono recato presso il lago de l’Aia, lontano pochissimi chilometri da Narni. Ero già stato in quel lago all’inizio della mia esperienza di pesca. Completamente novizio, ci avevo lasciato i miei primi tre galleggianti: chissà dove saranno ora?

Questo lago è un bacino artificiale che viene utilizzato per la produzione di energia elettrica. Il suo livello cambia praticamente tutti i giorni con piene e svuotamenti, piene e svuotamenti che garantiscono un flusso più o meno costante alle turbine. Nelle sue acque, a quanto ho sentito dai pescatori locali, è possibile pescare alborelle, cavedani, persici reali (che chiamano “salmerini”), lucci e anche carpe di notevoli dimensioni.
Nella mia prima giornata di pesca a spinning mi sono recato al lago con un’attrezzatura ovviamente sballata: la canna, come ho già detto, era la mia ormai celebre “pescanguille”, il filo era uno 0.16, troppo sottile per i predatori presenti, un cucchiaino taglia 1 (diciamo troppo piccolo per i lucci) e, per completare l’opera, nessun terminale in acciaio. Già… il terminale in acciaio! Ne avevo spesso sentito parlare ed avevo letto di questi terminali in alcuni libri. I pesci che normalmente ho insidiato: cavedani, barbi, carpe, carassi etc, non sono dotati di dentature affilate come invece hanno i lucci. Questi ultimi sono in grado di recidere con un morso qualsiasi filo in nylon, fluorocarburo o altro materiale sintetico senza grosso sforzo. Ho avuto esperienza diretta di tutto ciò nella mia seconda uscita che vale la pena raccontare.

Dopo alcune uscite fatte al lago utilizzando la mia Veret da 6 metri, con montatura classica da passata, con esca di mais dolce e qualche bel cavedano catturato, decisi di sperimentare l’uso del cucchiaino con tecnica a spinning. Quando mi recai nel solito posto, vidi che c’erano altri pescatori e quindi decisi di spostarmi alcuni metri più in la per essere più tranquillo e soprattutto per effettuare le mie prove senza far vedere quanto fossi schiappa. Trovai un posticino abbastanza comodo, che terminava con una piccola passerella tutta arrugginita e torta, utilizzata dai pescatori per salire sopra le loro piccole barche. 

La passerella non sembrava molto solida e quindi decisi di rimanere piuttosto vicino alla riva per evitare un bagno indesiderato. La vegetazione era piuttosto consistente e vicina. Non era possibile effettuare lanci con la stessa libertà del mio solito posto. Aprii la mia canna “pescanguille” preparando una cappiola alla quale avrei agganciato un moschettoncino dove avrei inserito il “cucchiaino”. Lanciai la lenza a circa una ventina di metri da me, con un movimento piuttosto goffo, reso necessario dalla presenza di alberi e rami. Iniziai il lento recupero, come avevo visto in tanti video su YouTube. Nulla…

Riprovo…altro lancio…altro recupero…nulla…

Altro lancio… provo a dare delle piccole strattonate, sempre ispirate dai video di YouTube… nulla…

Lancio in un'altra direzione…recupero…nulla…

Avanti così per una buona mezz’ora...

Ad un tratto, una cosa davvero curiosa! Non mi era mai capitata prima e, devo essere onesto, un po’ mi ha spaventato li per li. Immaginate un’area circolare di circa 4 metri di diametro a circa 2 metri dalla riva. Immaginate ora che, nello stesso istante, migliaia di alborelle saltino contemporaneamente fuori dall’acqua come se fosse esplosa una bomba sul fondo! Io ero li tranquillo a recuperare la lenza quando è accaduta questa cosa. Momenti mi piglia un colpo!

Dopo i primi istanti di smarrimento ho intuito quale potesse essere il motivo di questo bizzarro comportamento. Evidentemente era passato un pesce predatore che si era buttato vorace nel branco spaventandolo e facendolo saltare fuori dall’acqua!

Alcuni minuti dopo è accaduto nuovamente il fatto... che dire... stavolta mi sono divertito ad ammirare questa “esplosione argentata”!

Ho però voluto fare una prova... ho iniziato a lanciare nei paraggi dei “punti di esplosione”, chi lo sa, magari il predatore era ancora li vicino. Dopo 3-4 lanci BANG!!! La prima vera abboccata! La canna sembrava si sarebbe spezzata da quanto si curvava. Ho immediatamente messo mano alla frizione per impedire che il pesce spezzasse il filo subito ma nello stesso tempo dovevo evitare la sua corsa verso il riparo della riva trattenendolo il più possibile lontano. Sono riuscito per alcuni secondi a controllare la fuga del grosso pesce ma dopo pochi altri istanti … ZAC... lenza mozzata via! Sicuramente era stato un luccio che, con i suoi denti, aveva reciso di netto il filo. Fosse stato un cavedano o un persico reale non sarebbero riusciti a rompere così facilmente il mio filo 0.16.

Lezione imparata? Comprare i terminali in acciaio!

E così ho fatto... nei giorni seguenti sono andato nel mio negozio di fiducia dove ho acquistato alcuni terminali in acciaio già pronti (20 centesimi di euro l’uno!), nuovi cucchiaini, un ondulante e una bobina da 150mt di filo 0.25. Stavolta volevo arrivare meno impreparato alla sfida...

Avevo comprato il filo nuovo, ora il problema era, dove imbobinarlo? Non volevo spostare il Mitchell dalla Veret e le due bobine dello Shimano Aernos erano già riempite con 0.14 e 0.16 ed erano fili praticamente nuovi. Mi sarebbe dispiaciuto buttare via dei fili praticamente mai usati. Mi rimaneva il vecchio Trabucco AURIS 4000! Il mio primo mulinello! Lo presi dall’armadio e vidi che ancora c’era su il vecchio filo da 0.20 che fu imbobinato per primo. Ho pensato: “Benissimo... userò il vecchio filo come base del nuovo...tanto un 4000 non lo riempio di sicuro con 150 metri di 0.25!”. Bhè...bella cazzata! Non ero arrivato neanche a metà della bobina originale che il mulinello era già pieno! Porca pupazza! Ho dovuto ricaricare la bobina svuotando il mulinello per togliere il filo vecchio e reinbobinare. Potete immaginare la qualità dell’imbobinatura. Normalmente quando capitano queste cose i pescatori seri buttano via il filo e ne mettono uno nuovo! Ma 8 euro di filo 0.25 mi rodeva un po’ buttarli via così stupidamente.

Ora avevo la “Pescanguille” con il Trabucco 4000 caricato a 0.25, terminale in acciaio (color verde bottiglia!) e cucchiaini ILBA con rotante e esca siliconica. Chi mi avrebbe più fermato?

Semplicemente il nervosismo...

Sabato pomeriggio sono infatti andato a pescare nel tardo pomeriggio, dopo un lauto pranzo che non avevo ben digerito e una piccola “baruffetta” con mia moglie. Sono arrivato al solito posto piuttosto nervoso, con un po’ di mal di testa e con ancora i residui della piccola discussione con la mia dolce metà.. Morale della favola? Non ho preso nulla...manco un’abboccata...e ho perso 3 cucchiaini e terminali di cui uno incagliato su di un ramo sopra la mia testa!

E’ proprio vero quello che dice il mio Maestro Mauro: “Quando le palle fanno cià cià, lascia la canna e va a cacà!



lunedì 1 ottobre 2012

22 Agosto 2012 – Sardegna e Carpe da paura!


Finalmente le ferie estive! Dopo un intero anno di lavoro, questi benedetti 15 giorni di vacanza sono arrivati. Da qualche anno ho la fortuna di trascorrere le ferie in Sardegna, a Riola Sardo, un paesino in provincia di Oristano. Un’oretta per raggiungere in auto il porto di Civitavecchia e poi circa 5 ore di traghetto per arrivare ad Olbia, punto d’attracco della nostra vacanza isolana. Dico nostra perché ovviamente ero in compagnia della mia amata Nicoletta, mia moglie da poco più di due anni, ma che da oltre 15 anni mi “sopporta” con pazienza. 

Scesi dal traghetto ci aspettano altre tre ore circa di superstrada per arrivare a destinazione. Percorriamo la strada che è già buio ma il pensiero di essere “finalmente in vacanza” rende quest’ultimo sforzo quasi piacevole. Prima di partire i miei maestri Aldo e Mauro non hanno fatto altro che darmi dritte sulla pesca in mare, consigliandomi lenze, esche e tecniche. Devo dire la verità, fino a quel momento la pesca in acqua salata non mi ha mai stuzzicato troppo ma chissà, magari  avrei cambiato idea. Nel caricare la macchina decisi di portare con me le due canne bolognesi, lasciando a casa le due canne fisse da 5 e 7 metri. A ripensarci avrei dovuto portare almeno la canna più corta, viste le successive evoluzioni. Il mio pensiero infatti non era tanto quello di provare a pescare in mare ma bensì quello di mettere le mie canne nell’acqua del fiume Rio che scorre a Riola, a soli 30 metri da casa nostra. Mio suocero aveva già pescato in quel placido fiume e mi aveva raccontato di aver preso delle gran belle carpe. Non vedevo l’ora di provare anch’io a pescarne qualcuna.

Arrivati a casa, dopo esserci sistemati, non ho resistito a dare un’occhiata nello stanzino di casa nostra dove mio suocero tiene le sue canne (per altro, prima di partire, mi aveva autorizzato ad usarle liberamente, se ne avessi avuto voglia). In un contenitore c’erano 6-7 canne, di tutti i tipi, tra cui spiccavano una meravigliosa canna da traina (mai usata!) e due canne da surfcasting, di produzione cinese, con mulinelli cinesi di bassa qualità, caricati con un filo giallo dallo spessore imbarazzante! Lo guardo bene e lo stimo ad un 0.50 almeno! Cavolo! Ma che bestie di carpe ci sono qui? I miei mulinelli erano ancora caricati con i fili che uso per barbi e cavedani del fiume Nera: 0.12 e 0.14! Cosa avrei potuto fare con questi “capellini” se mio suocero aveva ritenuto opportuno lo 0.50?

In quei giorni, nella nostra casa, c’erano anche mio cognato Nicola con la sua compagna Maria Rita e suo figlio quattordicenne Andrea. Nei giorni precedenti Andrea era stato a pesca al fiume insieme a mio suocero ed aveva avuto un’esperienza davvero elettrizzante ed indimenticabile. Utilizzando una canna da pesca fissa tutta sgangherata, aveva pescato, a poco più di un metro e mezzo dalla riva, una carpa di oltre 6 kilogrammi! Era impaziente di tornare a pesca insieme a me e quindi non vedeva l’ora che io arrivassi a Riola. Quando ci siamo incontrati mi ha subito raccontato di questa pesca fantastica e mi ha accompagnato nello spot dove aveva avuto questa avventura. Ha poi aggiunto particolari circa il tipo di esca usata, il mais, e sulla profondità dell’acqua in quel punto. Lo spot, vicinissimo a casa, era raggiungibile attraversando l’orto dei nostri vicini ed amici sardi Mauro e Anna, semplicemente aprendo un cancellino in legno chiuso con una catenella con lucchetto. I nostri amici erano stati gentilissimi nel fornirci una copia della chiave per poter accedere liberamente al fiume quando volevamo. La riva si presentava un po’ stretta e circondata da piante e alberi piuttosto invadenti che, valutai, avrebbero reso i lanci con la bolognese parecchio complicati. Andrea mi mostrò il punto esatto dove aveva abboccato la “carpona” indicandomi una zona a circa 1 metro e mezzo dalla riva. La mia domanda fu molto semplice: “Ma quant’è alta l’acqua li?” e lui rispose:”Mah… pochissimo! Sarà mezzo metro… al massimo 60 cm!”. Pensai immediatamente che per risolvere il problema dell’ingombro delle piante e degli alberi avrei potuto indossare i wader per entrare in acqua ed avere maggiore libertà di movimento e lancio. Andammo a casa dopo questa prima perlustrazione, ma entrambi non vedevamo l’ora di ritornare li con le canne da pesca.

Il giorno seguente, dopo una meravigliosa giornata passata al mare, nel fantastico scenario di Maimoni, una delle spiaggie più belle della zona, io e Andrea prendemmo due canne e ci recammo al fiume. Per questa prima uscita scelsi una delle canne di mio suocero, giusto per provare la differenza con le mie e per verificare se, effettivamente, un filo 0.50 avesse una valida giustificazione. Arrivammo al fiume un po’ tardino, la luce del tramonto già era piuttosto bassa. Andrea mi chiese se avevo una starlight ed io risposi di si dopo essermi ricordato che il “cacaseco” Andrei me ne aveva regalato uno poche settimane prima della mia partenza per il mare. Le starlight sono delle piccole barrette di plastica trasparente che contengono due sostanze chimiche separate da un sottile diaframma. Se la barretta viene piegata con un po’ di forza, questo diaframma si rompe e le due sostanze entrano in contatto scatenando una reazione chimica che produce una certa luminosità che dura per alcune ore. Di solito queste starlight vengono inserite in cima ai galleggianti, al posto dell’antenna, per permettere la visione del galleggiante medesimo in condizioni di scarsa o nulla visibilità. In pratica permettono di pescare anche di notte. Purtroppo il galleggiante che montavo non aveva l’antenna estraibile e quindi ci arrangiammo fissando lo starlight con un piccolo elastichetto. Il risultato fu abbastanza orribile, con lo starlight messo di traverso e adagiato a pelo d’acqua. Ma la cosa fu divertente e non mi lamentai. Ovviamente non prendemmo nulla ma fu l’occasione per iniziare  a prendere confidenza con questo fiume e per bere una bella birra doppio malto che avevo appena tirato fuori dal frigorifero. Dopo circa 30 minuti si fece quasi completamente buio e decidemmo di rientrare. Mi avanzò un pochino di birra che, per gioco, scolai nel barattolino del mais… chissà… magari l’aroma sarebbe stato apprezzato dalle carpe!

Il giorno dopo decisi di non pescare ma di fare solo un salto al fiume per verificare alcuni miei sospetti. Mi avvicinai alla riva guardando l’acqua. La corrente in quel punto del fiume è quasi nulla. Sembra quasi di pescare in un lago. Da sponda a sponda ci saranno stati almeno 50-60 metri di acqua scura e torbida per via del fondo melmoso. Ogni tanto si sentivano schianti impressionanti provocati dal salto dei grossi pesci che lo popolavano. Non vedevo l’ora di provare di nuovo! Prima di andare via mi volli togliere una curiosità. Presi una canna dal canneto li vicino e la infilai in acqua a circa 20 cm dalla riva. Effettivamente la profondità ammontava a circa 50 cm come mi aveva detto Andrea. Provai però ad affondarla a circa 70 cm dalla riva e li fu la sorpresa! Il fiume scendeva immediatamente a ben oltre 1 metro e mezzo di profondità e oltre! Ed io che volevo provare ad entrare coi wader! Sai che divertimento sarebbe stato! Sarei potuto annegare dopo il primo passo!

Il giorno successivo, io e Andrea andammo sull’altra riva del fiume, esattamente nel punto opposto a quello che avevo esplorato il pomeriggio precedente. Trovammo facilmente un posticino fantastico: niente alberi, nessun ostacolo e, volendo, anche la possibilità di raggiungere lo spot con la macchina. Aprimmo le canne ed iniziammo a pescare. Andrea aveva la canna fissa mezza rotta con filo 0.50 e una montatura basata su una singola torpilla con un galleggiante cinese in plastica che gli aveva permesso di prendere la carpa da 6Kg e, come si dice, “squadra che vince…non si cambia”. Io invece, non avendo altro materiale a disposizione, utilizzai la mia bolognese da 6 metri con lenza madre da 0.16, il più grande che avevo, e terminale 0.14 con ami del 16. In poche parole sembravamo Golia (Andrea) e Davide (io) con due attrezzature così diverse. 

Dopo pochi minuti di attesa ecco la prima preda! Presi infatti all’amo un bel pesce gatto. Da quelle parti, visti di danni provocati da questo voracissimo pesce al resto della fauna ittica del fiume, i pesci gatto vengono o portati a casa per essere cucinati o sistematicamente uccisi dopo la cattura. Nessuno ributta i pesci gatto in quel fiume, niente “catch & release” insomma. Dato che mia moglie è letteralmente terrorizzata dal quello strano pesce ed io non riesco assolutamente a togliere la vita consapevolmente agli animali, li ributtai tutti in acqua. Poco dopo anche la prima carpa, una taglia non esagerata ma davvero un bell'animale.

Dopo qualche minuto la canna di Andrea si flettè in maniera incredibile! Un abboccata eccezionale! Il combattimento fu subito acceso tra il pesce ed il mio giovane amico. Sicuramente si trattava di una bella carpa che tirava come un vero torello. Dopo qualche tentativo di fuga il pesce mirò dritto verso la riva dove una fitta vegetazione avrebbe potuto salvarla facendo impicciare la lenza. Io preparai il guadino mentre Andrea si spostava lungo la riva per cercare di tenere il pesce lontano dalla possibile via di fuga. Purtroppo il pesce riuscì ad imbucarsi sottoriva mentre Andrea continuava a tirare per evitare di perderlo. Io ero li col guadino, pronto a catturarla, ma il pesce era protetto dalle piante e non riuscivo a scorgerlo anche se era materialmente sotto i miei piedi. Il mio amico mi urlava eccitato “Scarufa! Scarufa!” (termine dialettale ternano per “Rovista!”) ed io lo feci infilando a caso il guadino in mezzo alle piante per cercare di acchiappare il pesce. Finalmente, con un pizzico di fortuna, riuscii ad inguadinare la carpa, un bellissimo esemplare lungo almeno 60 cm e dal peso orientativo di circa 2 kili e mezzo. Eravamo intrambi così eccitati e divertiti. Convinsi Andrea a rilasciare il pesce, come per i pesci gatto. Tornammo a casa dopo un po’ continuando a ridere e a dirci “Scarufa! Scarufa!” che sarebbe diventato il tormentone delle vacanze.

Un paio di giorni dopo Andrea ripartì e quindi iniziai ad andare a pesca da solo. Trovai anche un altro bellissimo posticino, non lontano da casa, dotato anche di un comodo pontile in legno dove era facile sistemarsi con equipaggiamento e sediolina. Anche li pescai qualche bel pesce ma il ricordo più bello è legato ai meravigliosi tramonti che si potevano ammirare al volgere della sera. Una sensazione di pace e tranquillità avvolgeva tutto, regalandomi momenti indimenticabili.

Dato che nei giorni successivi il pontile era diventato abbastanza frequentato, decisi di tornare nel posto della “Carpa Scarufante”. Aperta la seggiolina e la canna, lanciai un paio di manciate di mais come pastura e mi sedevo ad aspettare con la lenza in acqua a meno di 10 metri dalla riva. Come ho già detto, il posto è veramente di una comodità unica. Si può arrivare tranquillamente anche con la macchina parcheggiandola a due metri dallo spot. L’unico difetto? Un terrificante, nauseabondo, quasi insopportabile odore di pecore! Si, ogni giorno, un pastore del luogo, faceva passare proprio li il suo enorme gregge. Potete immaginare quale meraviglioso olezzo! E non solo! Almeno una volta a sera, si avvicinavano due cani pastore maremmano (non proprio di razza pura) di discrete dimensioni, che non mi facevano stare tanto tranquillo. Fortunatamente bastarono un paio di urlacci convinti per farli allontanare e tornare sereni a pescare.

Durante quei giorni era possibile vedere altri pescatori in quella zona. Quasi tutti utilizzavano lenze con galleggianti scorrevoli per la pesca a fondo. Apparentemente continuavo ad essere l’unico con un sistema “da passata” semplice e con fili sottili. La cosa più divertente però era vedere come io tiravo su belle carpe tra i 6 etti e i 2 kg a circa 8-10 metri dalla riva, con i miei “capellini” di nylon 0.12-0.14 mentre gli altri pescatori, armati di canne da casting, fili 0.30-0.50 e con lanci a circa 40 metri, non prendevano nulla.

Un giorno che dimenticai la macchina fotografica e il telefonino a casa, mi capitò di prendere un bel numero di carpe di varie misure ed anche un bass piuttosto giovane. Non potendo fotografarli, usai dei piccoli pezzi di canna di fiume per misurarle e a mo’ di ideale trofeo. Quando tornai a casa li mostrai a Nicoletta che mi fece notare come due di queste cannucciole erano perfettamente della stessa lunghezza. Effettivamente avevo pescato la stessa carpa per 2 volte durante la stessa giornata. L’avevo riconosciuta da una piccola ferita vicino la branchia destra. Fu ufficialmente nominata “Carpa più bischera di Sardegna 2012”!

In quel punto meraviglioso, dopo le 19.30, se ogni cinque minuti non si vedeva un’abboccata il motivo poteva essere uno ed uno solo: il mais si era staccato dall’amo. Infatti, dopo quell’orario, si iniziavano a notare parecchie “bollate” (cerchi concentrici sulla superficie dell’acqua, prodotti dai pesci sottostanti) vicino alla lenza. Che spettacolo veder partire il galleggiante e sentire le formidabili “tirate” di quelle splendide carpe! 

Serate fantastiche di pesca in un posto splendido: cosa pretendere di più? 
Ah si… Una birretta doppio malto gelata che mi portavo spesso dentro la cassettina… Bhè… ora siamo veramente a posto!


giovedì 2 agosto 2012

2 Agosto 2012 – La Maledizione giapponese è stata sconfitta!


Come ho già scritto, alcuni giorni fa ho comprato, per sostituire l’economico mulinello della “Pescanguille”, un modello della Shimano, l’AERNOS 2500 FA. Non voglio fare della pubblicità ma si tratta di un prodotto che si colloca a metà tra la fascia economica e quella media con un prezzo relativamente contenuto ed alcune caratteristiche che si rinvengono nei modelli più costosi della casa giapponese. Come la sigla FA del modello fa intuire, si tratta di un mulinello con frizione anteriore, ovvero controllata con un pomello rotante situato in cima alla bobina, a differenza di quelli a frizione posteriore che invece hanno il controllo sotto il corpo dello strumento. Sia l’economico Trabucco che il Mitchell Full Control 2012 che possiedo hanno la frizione posteriore. Quando ho preso lo Shimano mi sono quindi trovato ad operare con un tipo di frizione che non avevo mai usato prima. Per farci un po’ di pratica quindi ho deciso di non montare subito l’AERNOS sulla Pescanguille, ma di esercitarmi un po’ utilizzando la Veret da 6 metri. L’ho imbobinato con filo da 0.12, armato con galleggiante da passata da 1 grammo con piombatura a scalare, ed ho inserito un terminale 0.10 con amo del 18. La voglia di far pratica e di sperimentare questo mulinello era davvero tanta. Per giorni sono andato al fiume armato di tanta pazienza, nella speranza di agganciare qualche bel pesce che, combattendo, mi desse l’occasione di fare un po’ di prove con la frizione anteriore. Sono andato almeno 4-5 volte al fiume, sia da solo che in compagnia di Aldo e Andrei ma i risultati sono stati davvero deludenti. O non ho preso nulla, nonostante le decine e decine di passate, le varie modifiche all’armatura, la pasturazione etc, o al massimo ho preso alborelle, triotti e rosciole al massimo lunghe 10-12 cm. Questi pesci, così piccoli, rendono praticamente inutile la frizione dato il loro scarso vigore nel combattimento. E’ tranquillamente possibile tener chiusa la frizione e recuperare anche velocemente senza nessun rischio di rompere la lenza. Ho iniziato quindi a pensare che quel mulinello portasse sfiga… Mentre Aldo tirava fuori bei cavedani, barbi e anche un bel carassio, io dovevo accontentarmi di pescettini piccoli o addirittura di fare “cappotto” (termine gergale che indica il non prendere neanche un pesce). Ma sono una persona paziente o, per dirla tutta, la pesca mi sta insegnando ad averla. Prova e riprova, cambia montatura, cambia amo, aumenta o diminuisci “l’acqua”, pesca in “trattenuta” o in deriva libera,  pastura poco ma di frequente e BANG! Finalmente la prima preda pesante! Un bel cavedano di oltre 30 centimetri. Metto subito mano alla frizione e mi incarto immediatamente…  Volevo aprirla invece la sto stringendo. Il pesce tira forte e io, nella confusione totale, sto rischiando di far rompere la lenza. Finalmente riesco a capire qual è il verso giusto e apro la frizione. Il filo scorre in uscita in maniera graduale e lo stress della lenza diminuisce. Devo dire che la gradazione della frizione di questo mulinello è decisamente più raffinata rispetto al Trabucco. Il passo in avanti è netto, non c’è dubbio. Rispetto al Mitchell, dove ho la leva di combattimento, lo Shimano è sicuramente meno comodo quando si tratta di alternare recuperi forti a momenti di rilascio del filo. Mauro, il Maestro-Remoto, mi ha detto che tantissimi pescatori esperti lavorano con la frizione completamente chiusa o quasi, e giocando il tutto con la leva di anti-ritorno. Questa levetta permette al mulinello di poter girare al contrario, lasciando di fatto alla lenza la possibilità di uscire dalla bobina. E’ una sorta di frizione-non-frizione. La gradualità d’uscita della lenza viene regolata semplicemente tenendo una mano sulla bobina. Quando il pesce tira, il mulinello girerà al contrario facendo uscire filo. Noi “freneremo” questa uscita facendo attrito con la mano sulla bobina. Al momento del recupero ci basterà afferrare il pomello e riavvolgere il filo come sempre. E’ un metodo che per il momento non uso perché ogni volta che ho aperto la leva di anti-ritorno ho combinato disastri. Se non si controlla l’uscita del filo e questo rimane molto lasco, è possibile che finisca sotto la bobina impicciandosi e creando le famose “parrucche” di filo. Sul mio Mitchell poi, per un evidente limite nel design del mulinello, in casi come questi molto spesso il filo sparisce sotto la bobina andando ad avvolgersi nell’alberino interno. Per sistemare le cose bisogna togliere la bobina del filo e smontare il portabobina con un cacciavite per raggiungere l’alberino e liberarlo dal filo.
Morale della favola? Per ora non ci penso proprio ad usare l’antiritorno. Avrò modo di farlo quando sarò più esperto.
Dopo il primo cavedano ne sono arrivati altri tra cui uno da 33 e uno da 35 cm, poi un combattivissimo barbo da 28 cm, che si era letteralmente piantato sul fondale e non ne voleva sapere di risalire e che, anche dopo slamato, continuava a contorcersi come un pazzo nelle mie mani fino a quando non l’ho rimesso in acqua. La preda più bella però è arrivata solo un paio di giorni fa. Ero al fiume con Aldo e Andrei. Giornata ventilata, temperatura gradevole ma non tantissimi pesci presi. Avevo catturato un bel cavedanotto, sui 25 cm e mi ritenevo più che soddisfatto. Aldo aveva preso qualche cavedano, un barbo e un carassio, un pesce che ad oggi non ho ancora avuto la fortuna di pescare, mentre Andrei aveva preso anche lui un cavedano, ma di più modeste dimensioni. Guardo l’ora e vedo che si erano fatte le 20.00. Penso tra me e me: “Ora faccio le ultime due passate e poi smonto tutto e vado via…sennò Nicoletta mi trincia!”. Non finisco il pensiero che una robusta strattonata alla lenza mi affonda il galleggiante! Ferro con archetto ancora aperto e dito a bloccare il filo sulla bobina. Sento che la preda non è proprio piccina da come resiste e da come trema la canna. Mi affretto quindi a smanovellare per chiudere l’archetto e subito controllo la frizione aprendola anche un po’.
Il pesce tira…eccome se tira! Vedo la canna flettersi parecchio ma in modo meno violento di altre occasioni. Decido, dato che non ho molto tempo ancora a disposizione, di essere più aggressivo nei confronti del pesce. Gli concedo meno momenti di corsa con frizione aperta. Non la chiudo in realtà, semplicemente blocco la bobina con la mano e tiro indietro la canna per sfibrare il pesce. Ho iniziato a prendere confidenza con il filo sottile e quindi provo a forzare un po’ più del solito. Alle brutte, se il pesce romperà la lenza, avrò fatto un’esperienza in più. Blocco, tiro, allento, recupero, blocco, tiro, sposto, recupero, blocco ancora e tiro di nuovo. Finalmente porto il pesce a vista. Cavolo! Ma è un barbo davvero grandicello! Qualcuno prende il guadino, non ricordo chi, e si mette in posizione per prenderlo e tirarlo a riva. Il pesce è davvero stanco e quasi non combatte più. Lo inguadiniamo e lo tiriamo via dall’acqua: 41 centimetri effettivi di barbo! WOW! Il pesce più grande che io abbia mai preso nella mia brevissima carriera di mediocre “acchiappapesci” (non mi sento ancora degno di chiamarmi pescatore). Lo slamo, gli faccio una bella foto ricordo e resto ipnotizzato dalla sua bellezza. Ha davvero un testone enorme e degli occhi che inquietano. Lo ammiro qualche altro secondo e poi, con delicatezza, lo rilascio libero in acqua. Finalmente la maledizione Aernos è sconfitta!


giovedì 19 luglio 2012

18 Luglio 2012: "Il Nero" prende paura...

Chi legge queste mie pagine oramai sarà diventato familiare con il "pesce-senza-nome". Si tratta di un grande cavedano, dalla livrea scurissima, che da quasi un mese, ogni volta che andiamo a pesca nel nostro solito posto, dopo pochi minuti appare davanti a noi e si mette a nuotare avanti e indietro a pochi cm dal pelo dell'acqua. Non c'è nulla da fare, abbiamo provato in tutti i modi a catturarlo, ma lui sembra che stia li per sfotterci. Le nostre esche non le calcola, la nostra pastura la ignora. Nel mio caso posso pensare all'inesperienza, ma Aldo è un pescatore esperto e le sta provando tutte anche lui ma senza risultati. Da qualche giorno sta diventando la nostra ossessione. Soprattutto quella del Maestro Aldo. Oramai è concentratissimo nella sua cattura ed inizia anche a non sopportare più il cacaseco Andrei che, un paio di giorni fa, è rientrato dalla Romania dopo averci lasciato in pace per quasi 2 settimane ("Sempre troppo poche!"). La vera novità di questi giorni è che, finalmente, abbiamo trovato un nomignolo al "pesce-senza-nome": ora lo chiamiamo semplicemente "Il Nero". Lo rispettiamo, lo consideriamo quasi un amico che ci viene a trovare, qualcuno che ci fa compagnia. Ma non voglio che si fraintenda ciò che scrivo, sia io che Aldo le proviamo tutte per agguantarlo.
In questi ultimi due-tre giorni, quando arrivo al fiume, Aldo è già li con la canna aperta, pronto ad insidiarlo. Nel frattempo ovviamente prende altri pesci, anche di taglie interessanti, ma è chiarissimo che lui sta pensando al "Nero". Anche io lo cerco, ma la mia posizione non è mai ottimale dato che, arrivando dopo del Maestro, devo spostarmi un pochino troppo a valle per averlo bene a tiro. In questi giorni mi diverto più che altro a vedere (e sentire) Aldo che fa di tutto per acchiappare questo pesce e anche a cercare di testare il nuovo mulinello Shimano. Come ho già scritto, si tratta di un modello con frizione anteriore (posta sopra la testa della bobina) e ancora non sono riuscito a sperimentarla a dovere. Da quando l'ho montato ho preso solo pesci piccoli, massimo 12 cm, che effettivamente non richiedono un grosso lavoro alla frizione. Posso tranquillamente tenerla chiusa e recuperare senza rischi di rottura con la mia lenza 0.12 e finale 0.10.  Più spero che abbocchi qualche pesciotto grosso, tipo quelli che ho preso giorni fa con la "Pescanguille" e più mi ritrovo a tirar su alborelle, savette e cavedanelli piccini.
Di sicuro sbaglio qualcosa nella montatura ma in questi giorni è più il divertimento di stare accanto ad Aldo, vedere i suoi sforzi e sentire i suoi esilaranti commenti che altro.
Dopo la centesima passata fatta (durante le quali ha preso altri pesci...) Aldo se ne esce con questa frase: "Certo che, con tutte le ferrate che ho fatto...E' strano che manco l'abbia agganciato una volta per sbaglio...". Lui fa l'ennesima ferrata di fine passata, non finisce di dire questa frase che BANG! Il galleggiante affonda di botto. Dal mio punto assisto chiaramente a tutta la scena. Vedo il "Nero" correre a favore di corrente come se avesse preso fuoco e la lenza di Aldo che gli va dietro. Lo ha agganciato! Lo ha agganciato! Lo ha preso sulla schiena! Incredibile! Il pesce tira come indemoniato e la canna di Aldo si incurva. Io grido "Vai Aldo!!! L'hai acchiappato sulla schiena!!!". Passano meno di tre secondi, tre lunghissimi secondi, che il pesce si stacca dall'amo e scappa via. Per almeno 20 minuti il "Nero" non si è fatto vedere. Deve aver preso una bella paura. La sua baldanza è sicuramente venuta meno. La lenza ora è riavvolta, la canna smontata, ma il sorriso e lo sguardo di Aldo, letteralmente elettrizzato dall'evento, non svaniranno mai dalla mia mente...


mercoledì 18 luglio 2012

12 Luglio 2012 - Nuovi giocattoli e giornate da ricordare

Anche se è pochissimo che pesco, come tutti i pescatori (principianti e non), sono anch'io vittima del virus "Mi comprerei sto' mondo e quell'altro!" che affligge tutti coloro che si dedicano a questa attività. Canne, mulinelli, galleggianti, fili, ami, esche artificiali e tutta quella marea di accessori più o meno utili che si comprano perchè "non si sa mai...potrebbe farmi comodo!". Quando ho iniziato a pescare volevo comprare solo una canna fissa, come mi suggerì Mauro, ma poi comprai anche una bolognese telescopica da 3.50 con mulinello Trabucco Auris 4000. Per altro, da completo incompetente, acquistai la canna fissa da 5 metri, che si è rivelata troppo corta per il posto che bazzico più spesso, idem con patate per la bolognese, anche questa troppo corta per un uso veramente efficace. Altro errore dovuto all'incompetenza è stato acquistare un mulinello di quel formato. Non sapevo affatto che 4000 era una misura di capacità della bobina. Pensavo fosse solo parte del nome del modello! Per il mio tipo di pesca una taglia 2500 va più che bene. Non ho bisogno di imbobinare oltre i 150 metri di filo quindi una 4000 è davvero esagerata. Per i principianti, un piccolo trucco usato dai pescatori più esperti che mi ha insegnato mio fratello: mettere del filo di lana o del filo da pesca vecchio per “fare spessore” ed imbobinare fino quasi a capienza (quando mancano 2 mm è meglio fermarsi) ed evitare lo “scalino” che si crea se non si riempie la bobina fin quasi all’orlo. Questo scalino provoca un certo attrito col filo quando, durante il lancio, esso è libero di uscire dalla bobina. Più si riempie la bobina, minore è lo “scalino”, minore sarà l’attrito e, di conseguenza avremo lanci più lunghi ed un filo meno usurato nel tempo. 

La mia totale inesperienza mi ha quindi fatto sbagliare praticamente tutti gli acquisti se contiamo anche un paio di confezioni di ami troppo grandi, una bobina di filo da 0.20 (“E che ci devi prendere? Gli squali?”) e galleggianti troppo pesanti. Insomma, non ne ho azzeccata una! Per fortuna che, con i consigli di Aldo e Mauro, ho cominciato a prendere dimestichezza con questi aggeggi e a fare compere più assennate. Ripeto l’avvertimento… Se la pesca vi appassiona, inizierete a comprare un sacco di cose. Onde evitare di spendere somme esagerate, stabilite un budget massimo e chiedete consigli ai più esperti su cosa è necessario e cosa è decisamente superfluo.
Shimano Aernos 2500FA
Bene, tutta questa premessa per dire che ho comprato un bellissimo mulinello Shimano! Il modello si chiama Aernos ed è rosso e nero. Si tratta di un prodotto di confine fra la fascia economica e quella media con un rapporto prezzo/prestazioni (da quello che ho letto in Internet) eccellente. L’ho comprato per sostituire il Trabucco sulla Pescanguille dati gli evidenti limiti di questo economico mulinello. Ho fatto un po’ di ricerche nel web e ho trovato che il negozio che lo vendeva al prezzo più basso era proprio a Terni! Lo stesso dove ho acquistato la canna fissa da 7 metri, galleggianti ed altri accessori. Effettivamente era un offertona e mi sono fiondato a prenderlo.
Ho comprato anche del filo da 0.12 per imbobinarlo ascoltando il consiglio di Mauro. Lo stesso giorno sono andato al fiume ma senza ancora montare il mulinello nuovo. Con ancora la Veret in riparazione, ho preso la Pescanguille con su il Trabucco caricato con lo 0.14, terminale 0.12 e amo del 16. Non c’era nessuno e l’acqua aveva una corrente piuttosto lenta. Avevo su un galleggiante da 1 grammo ma evidentemente l’avevo tarato male come piombatura dato che tendeva ad “affogare” ad ogni passata. Ho tolto un piombino da 0.10g e la situazione è migliorata parecchio. Non passano 10 minuti che BANG! Prima bella abboccata! Il pesce tira tantissimo ed il combattimento è stato divertente. Ahimè la frizione dell’Auris lascia proprio a desiderare. Basta un piccolo tocco che o si chiude troppo o si apre troppo. E’ necessaria una sensibilità notevole per regolarla bene ed è difficile farlo durante le concitate azioni del recupero. Fortunatamente il pesce dopo un paio di minuti smette di essere aggressivo e riesco a fargli prendere aria alla bocca. E’ un bel cavedano! Finalmente!
Lo inguadino e lo slamo solo dopo essermi bagnato le mani. In questo modo lo shock termico da contatto si riduce ed il muco protettivo presente sulle squame del pesce non si rovina troppo. Lo misuro: ben 35 cm! Niente male! Ovviamente lo rilascio immediatamente. Passano pochi minuti e arriva Aldo. Anche oggi non ha portato l’attrezzatura. E’ venuto solo per fare due chiacchiere, cosa che mi fa molto piacere. Mi racconta come sta andando il Tour de France (è un grande appassionato di ciclismo) e chiacchieriamo un po’ sul caldo opprimente di questi giorni. Dopo poche altre passate un altro pesce abbocca! Un altro bel cavedano, solo un più piccolo del precedente, 28 cm.
Ecco il cavedano da 38 cm
Continuo a pescare con la soddisfazione di aver “azzeccato” la montatura. Altre 5-6 passate e prendo il terzo cavedano! 33 cm di pesce! Che succede? Sono impazziti i cavedani oggi? Scruto l’acqua e scorgo il “Pesce-senza-nome”, il cavedano scurissimo ed enorme. Come al solito fa i suoi giretti a pochi metri da noi, assolutamente rilassato e non disturbato da noi e dalle nostre chiacchiere. Oramai sono tanti giorni che il nostro “amico” sguazza indisturbato davanti ai nostri occhi senza minimamente curarsi delle esche che gli mettiamo davanti al muso. Sembra quasi che ci prenda in giro! Ma non posso distrarmi più di tanto dato che prendo un altro bel pesciotto! Il cavedano più grande della giornata: 38 cm misurati! Aldo mi aiuta ad inguadinarlo e mi fa anche una foto commemorativa. Che giornata ragazzi! Torno a casa con un sorriso stampato in faccia. Per stavolta il “Pesce-senza-nome” non mi interessa… Ma ci proverò ancora, e lui lo sa bene…




mercoledì 11 luglio 2012

10 Luglio 2012 - Alpha Bravo Charlie Delta...


Anche ieri sera, dopo il lavoro, ho fatto una puntatina al fiume. Armato di custodia per  le canne, bigattini e cassettina degli attrezzi (ne uso una della Powerfix comprata al LIDL che non è da pesca ma è per attrezzi generici, tipo elettricista insomma, ma costava poco (7 euro mi pare), è robusta, compatta e ci entra parecchia roba). Arrivo in loco e prendo la “PescaAnguille” (la mia prima canna bolognese telescopica da 3.5 metri) dato che la mia amata 6 metri è ancora ai box per la riparazione dopo la rottura che ho descritto nel mio precedente post. Speriamo che Andrea, la persona che ce l’ha in cura, trovi il pezzo adatto e riesca a rimetterla a posto.
Apro il barattolo dei bigattini e li vedo parecchio fermi. Il caldo torrido di questi giorni li sta mettendo a durissima prova. Anche se uso una borsetta termica (verde fluorescente, quando ci vado in giro mi guardano tutti male…) con dentro anche un panetto di ghiaccio sintetico, il calore è troppo elevato e i bachini tendono a collassare dal caldo.
Dopo aver montato la canna faccio qualche fiondata di pasturazione giusto per preparare le prime passate. L’acqua è piuttosto lenta e so bene che la montatura che ho non va affatto bene in quel tratto di fiume. Ho su un galleggiante da 2 grammi con piombatura a scalare verso il basso (buona per correnti più sostenute e per la pesca del barbo, che razzola sul fondo). Nel tratto dove sono potrei tranquillamente mettere 0.75 grammi, al massimo 1 grammo ma ho poco tempo e poca voglia di rifare l’armatura. Diciamo che utilizzerò la tecnica “Bravo Delta Charlie”  di cui sto diventando piuttosto padrone.

Bravo Delta Charlie? B.D.C. … “B.otta D.i C.ulo”… 

Inizio a lanciare e faccio ancora pratica del sistema di trattenuta col “freno a dito sulla bobina”. Stavolta è meno efficace dato che la corrente è lentissima e il galleggiante deriva molto molto lentamente. C’è però una cosa da aggiungere; se lancio a metà fiume o oltre, la corrente è leggermente più veloce e mi porta fino ad un punto del corso d’acqua dove il fondale diventa molto più basso e la velocità aumenta considerevolmente. In quella zona il peso del galleggiante sarebbe buonissimo, l’unico problema è che “l’acqua” impostata diventa eccessiva ed il rischio di incagliarsi sui ciuffi d’erba presenti sul fondo a macchia di leopardo aumenta in maniera significativa. Evvabbè… non si può avere tutto nella vita.
Qualche altra passata ed ecco che arriva la prima abboccata. Recupero agevolmente dato che il pesce è piccolino. Lo tiro a riva e lo sollevo con facilità dato che si tratta di un alborella, che però mi stupisce per essere di oltre 12 cm. Me le ricordavo più piccine.
Altre fiondatine di pasturazione e riprendo le passate. Le faccio lunghe, mandando la lenza alla deriva nella zona veloce e controllando sempre il tutto col “freno a dito”. Mi piace molto questa tecnica e ora la uso praticamente ad ogni passata. Dopo 5-6 giri un’altra abboccata, stavolta molto più forte. Inizia quindi il combattimento!
Non tira come la carpa dell’altro giorno ma sicuramente si difende benino. Allento un po’ di più la frizione che fa fischiare la bobina. Purtroppo il Trabucco Auris 4000 che monto non ha una regolazione precisissima ma si tratta sempre di un modello economico (è stato il primo mulinello che ho comprato, pagandolo 13 euro) e tende facilmente ad essere o troppo aperta o troppo chiusa. Faccio a tira-e-molla col pesce. Non esagero con i recuperi perché ancora la mia confidenza col filo 0.14 e terminale 0.12 non è tanta e poi, ehm.., la lenza (vedi post precedente) è stata attaccata al filo imbobinato con un nodo a barilotto. Mi trovo quindi a pescare con una canna corta, con un mulinello economico e impreciso, con la bobina caricata con 150 metri di 0.14 che è legata ad uno spezzone di circa 6 metri e mezzo di una vecchia lenza già pronta da 0.14 con un galleggiante e peso sovradimensionato per la corrente che c’è e che finisce con un terminale da 0.12 di qualità discutibilissima con bigattini semicomatosi. Che dire? Qualcuno mi suggerisce qualcos’altro di sbagliato da aggiungere?
Ho la vaga sensazione che se Mauro fosse stato li vicino mi avrebbe dato uno scapaccione così forte da cappottarmi…
Però…piano piano…tomo tomo cacchio cacchio… inizio a fiaccare il pesce che inizia ad arrendersi. Lo sollevo a pelo d’acqua e vedo che è un bel barbotto, sui 25-27 cm. Stavolta sono stato più previdente ed ho preparato il guadino. Portato vicino alla riva il pesce allungo il guadino e…porca eva è corto! Non ho allungato troppo l’asta telescopica e ora “arriva e non arriva” al pesce. Mi ritrovo con la canna in tensione, tutto storto e col braccio sinistro che quasi mi slogo una spalla per far passare il guadino sotto il mio graditissimo ospite. Ce l’ho quasi fatta quando l’infame si appoggia sul bordo del guadino e con una scodata tenta il tutto per tutto! Li ho temuto che sarebbe riuscito a spezzare il finalino ma, grazie alla Bravo-Delta-Charlie, questa ha retto il gesto disperato del pesce che, alla fine, sono riuscito ad insaccare e poggiare sulla riva. Ovviamente dopo averlo ammirato qualche secondo e averlo slamato (prima ho bagnato le mani per non scottarlo), l’ho rilasciato in acqua.
Qualche minuto dopo ha abboccato un altro barbo, più piccolo ma molto veloce. E’ stato divertente recuperarlo tra i suoi guizzanti zig-zag. Era di dimensioni modeste e non è servito neanche il guadino per tirarlo fuori.
Dopo qualche minuto è arrivato, come speravo, Aldo che mi saluta come al solito con molta gentilezza e cordialità. Durante le passate riparliamo della carpa dei giorni precedenti, delle possibili cause della rottura della Veret e della bellezza del silenzio che accompagna l’assenza del cacaseco Andrei che è in vacanza in Romania.
Iniziamo a notare movimento vicino alla riva. Si stanno affacciando dei bellissimi cavedani, molto grandi, che fanno avanti e indietro davanti a noi. Ahimè non c’è verso di farli abboccare, d’altronde la mia lenza è assolutamente inadatta a predarli dato che tende a rimanere sul fondo, mentre queste “bestioline” fluttuano molto vicini al pelo dell’acqua. In questi casi anche la Bravo Delta Charlie ha dei limiti… Servirebbe la variante Golf Bravo Delta Charlie (G.randissima B.otta D.i C.ulo) ma ancora non sono arrivato a studiare questa tecnica nel mio Manuale del Perfetto Pescatore Sculato.
Ne vedo passare uno molto grande, oltre 50 cm con lo spannometro, molto scuro, ed altri 2-3 molto più chiari e lunghi circa 30-35 cm. Mentre io sono concentrato sulle mie passate e con la coda dell’occhio mi tengo sottocontrollo quello grande e scuro, Aldo mi dice che gli altri sono molto più chiari perché “… non sono stati al mare…”. Li per li non afferro perché sono concentrato sul galleggiante, ma poi mi volto verso il Maestro Locale e lo guardo con occhio che dice “Mi pigli per il culo?” e lui sbotta a ridere dicendomi: “Bella stronzata eh? Vabbè scusa… non le dico più…”.
Non c’è nulla da fare. Non si prende più niente. Tento il colpo gobbo alleggerendo la piombatura verso l’amo per renderla più svolazzante ed appetibile al cavedano nero ma questo, a parte una scornata sul filo, i miei bigattini non li caga proprio.
Oramai non ci provo neanche più a prenderlo… Lo considero un amico che mi tiene compagnia mentre faccio le passate. Vorrei dargli un nomignolo ma, anche se di solito ho fantasia da vendere, non me ne viene in mente nessuno. Passano i minuti e non abbocca più nulla…e continuo a non trovare alcun nomignolo al cavedano scuro che prosegue con la sua placida nuotata davanti a me.
Si è fatta ora di andare, chiudo la canna e sistemo la cassettina e i bigattini in borsetta.
Mi giro verso il mio Maestro Locale che sta inforcando la bicicletta e gli chiedo: “Aldo, ti viene in mente una parola che faccia rima con ‘Cavedano’?”. Lui ci pensa un po’ e poi mi fa: “No… nessuna…”. Ed andiamo via insieme pensando a quel pesce-ancora-senza-nome.


PS La foto appartiene all'utente Malauros del forum Pesca360. L'ho inserita solo a scopo illustrativo e ringrazio vivamente l'autore sperando che non sia disturbato dal mio utilizzo. 




domenica 8 luglio 2012

8 Luglio 2012: Palle Magiche, Pescioni e Rotture!

Dopo aver seguito i consigli di Mauro ed aver acquistato del filo più sottile da montare sulla mia canna bolognese da 6 mt (una canna Veret in carbonio ad alto modulo) ed averla appunto imbobinata con una lenza monofilo da 0.14, gli ho montato un galleggiante da 1 grammo con piombatura a scalare, terminale da 0,12 e amo del 16 con punta storta. Sono andato al fiume e non c'era nessuno. Avevo deciso di non entrare in acqua ma di provare la nuova montatura dalla riva. Appena arrivato ho subito notato che l'acqua era molto più pulita e chiara del solito. Mi sono quindi detto che dovevo fare attenzione a non muovermi troppo per non spaventare i pesci. Fortunatamente l'abbigliamento, una polo blu notte e degli shorts grigi, non era a tinte troppo chiare o accese e quindi non sarebbe stato un ulteriore problema. Appoggiato l'equipaggiamento mi sono fermato un minuto a gustarmi l'acqua del fiume. La dolce corrente che scorreva, placida, era accompagnata solo dal sussurro della brezza che muoveva le fronde delle piante sulle rive, e dal rumore delle piccole rapide che si formano a circa 50 metri più a valle, dove c'è un piccolo gradino in corrispondenza del sotto ponte. Ho guardato bene il fondale, dato che normalmente il leggero intorbidimento ne impedisce la visione. Nel punto dove mi trovavo il fondale è pressochè quasi tutto completamente sabbioso, almeno fino al centro del corso d'acqua. Più a valle invece, sopra la sabbia, possiamo trovare ciottoli di varie dimensioni. Oltre ai bigattini, nella borsetta frigo che utilizzo per trasportarli, avevo anche un barattolo di plastica del gelato con dentro 3 palle di pastura che mi erano avanzate dall'ultima uscita quando, in realtà, non avevano sortito alcun risultato. Mi sono detto che le avrei dovute utilizzare dato che ormai erano passati un po' troppi giorni dal loro confezionamento. Si erano un po’ rinsecchite ed allora ho provveduto a bagnarle un po’ e a “rimassaggiarle” per ridargli tono e consistenza. Mi sono avvicinato alla riva ed ho lanciato la prima palla a monte, a circa 10-12 metri dalla mia verticale sul fiume. Mmmm… un lancio discreto, ma avrei potuto fare di meglio. Ho pensato di lanciare la seconda, più o meno nella stessa linea di corrente, ma più vicina alla mia verticale, in modo da farla affondare in un punto dove, lanciando bene a monte, ci avrei fatto atterrare la mia esca. Lancio…PLUFF! Un lancio corto di schifo! Di circa 2 metri corto rispetto al punto dove l’avrei voluta mandare.. “Cavolo! Che lancio di schifo che ho fatto” – è stato il mio pensiero – “Bhè, speriamo di fare meglio col terzo ed ultimo lancio…”. PLUFF! Peggio del precedente! Ancora più corto! “Evvabbè… tanto dovevo comunque buttarle ste’ palle…” – e mi è scappata anche una risata. Mentre svolgevo la lenza dalla scaletta e ultimavo gli ultimi preparativi, dietro di me ho sentito una voce. “Ciao! Come va?” – Era Aldo, il mio Maestro Locale, con la sua bicicletta da corsa. Gli ho detto che ero arrivato da pochi minuti e che ancora dovevo effettuare il primo lancio. Dopo pochi altri secondi ho messo finalmente la lenza in acqua ma, porca pupazza, il galleggiante non ne voleva sapere di non affondare troppo. Evidentemente la piombatura era “starata” ed avevo messo troppo piombo che trascinava a fondo il galleggiante. Ho provveduto prima a verificare se ci fosse qualche altro problema aumentando “l’acqua” (allontanando il galleggiante all’amo, per i non tecnici) ma nulla da fare. Ho quindi provveduto a rimuovere il primo piombo a monte utilizzando un Leva Piombi della Stonfo, un aggeggio che, devo dirlo, ancora non riesco ad utilizzare con eccessiva destrezza, specie con i piombini più piccoli. Ho fatto un altro tentativo ma anche questo è stato negativo. Mi è venuto in mente che forse avevo calibrato per errore la lenza pensando di aver su un galleggiante da 1.5 grammi e quindi avendo messo mezzo grammo di troppo. Fatto sta che dopo aver tolto il secondo piombo, stavolta vicino la doppia asola, il galleggiante ha iniziato a fare bene il suo dovere.
Mentre Aldo mi diceva che Andrei era finalmente partito per quel viaggio in Romania (i suoi genitori sono originari di quel Paese) per una breve vacanza, cosa che abbiamo entrambi festeggiato con un sonoro “Evviva!”, ho iniziato a fare un po’ di pastura con i bigattini. Nulla di che, solo qualche fiondata a monte. Mentre lanciavo Aldo mi fa:”Hey! Hai visto che cavedani che stanno passando? Guarda! Guarda!”. Guardo nell’acqua e vedo effettivamente due, tre cavedani belli grossi che risalgono la corrente. Dopo pochi secondi passano anche due carpe piuttosto grossette. Ogni tanto capitava di veder passare qualche bella carpa vicino alla riva, ma mai ci era capitato di vedere tutto quel “traffico” di pesci così grandi! Io a quel punto ho detto ad Aldo “Sai, un paio di minuti prima del tuo arrivo ho lanciato 3 palle di quella pastura che ti ho fatto vedere l’altro giorno… Mi sa che è stata quella…” e lui mi ha risposto: “Ma che cacchio c’era in quella pastura? Stanno salendo tutte belle bestie! Guarda li… Guarda la… Guarda che cavedano! Guarda…altri due!”. Mai vista una cosa del genere in quel tratto di fiume. Purtroppo, anche lanciando l’esca in punti strategici vicini al “movimento ittico” non c’era neanche un segno di abboccata. Lancio altri bigattini e proseguo con le passate. Nulla. Mi stava venendo un po’ di nervoso a vedere quegli straccia di cavedani e carpe che passavano vicino alla mia esca snobbandola alla grande. Ma la pazienza è la virtù dei forti. Dopo poco meno di dieci minuti, una decisa abboccata verso la fine della passata. Ferro e sento una grossa resistenza. Li per li ho pensato fosse un barbo, uno dei tanti che nuotano in quelle acque, ma la forza della sua resistenza e la supersonica virata a sinistra mi hanno fatto cambiare idea. Avevo lasciato la frizione chiusa e, visto come cavolo tirava questo pesce, mi sono subito affrettato ad allentarla. Non appena l’ho fatto il pesce ha iniziato a tirare come un toro imbufalito! La frizione ha cominciato a fischiare ed è iniziato il vero divertimento! Aldo continuava a dire “E’ un grosso cavedano… E’ un grosso cavedano di sicuro!” ed io ne ero veramente felice. Magari era uno di quelli che continuavano a passarmi davanti e che, fortunatamente, aveva fatto l’errore di ingoiare la mia esca. A questo punto ho fatto la mia prima vera esperienza di controllo della lenza per mezzo della leva di combattimento del mulinello Mitchell. Che dire! Fantastica! Potevo graduare la chiusura della frizione semplicemente applicando un po’ di pressione alla leva con l’indice, per poi lasciarla andare per permettere al pesce di sfogarsi un po’. Dopodichè, altra tirata di leva, con conseguente blocco della frizione e conseguente recupero. Era inoltre la prima volta che adoperavo un filo da 0.14 con un terminale 0.12. La mia paura di rompere la lenza e perdere quella bella preda era alta ma, devo dire, più prendevo confidenza con la leva e più mi rassicuravo sulla tenuta dell’intera armatura. Dopo qualche minuto di tira e molla col pesce, sentendo un suo leggero indebolimento nelle tirate, ho deciso di iniziare la fase di recupero finale. Ahimè avevo il guadino ancora nella custodia e solo il gentile intervento di Aldo mi ha permesso di concludere la pescata. Quando, dopo l’ennesimo recupero, ho fatto prendere aria al pesce, ecco la sorpresa! Non era un cavedano ma una gran bella carpa di fiume! La mia prima carpa! Evviva! Il pesce ha tentato di resistere ancora ma la “respirata” lo ha stordito parecchio. Lentamente ho tirato il pesce verso la riva tenendo la leva tirata. Aldo era pronto col guadino ad acchiapparla quando… STAC!!! Un colpo sordo e la mia Veret si spezza in due all’altezza del terzo elemento! NOOOOOO! Che sfiga! Come è possibile? Si sarebbe dovuto rompere prima il terminale? NOOOO… la mia adorata canna!!! E il pesce? Era ancora attaccato al filo! Ho preso la parte finale della canna o meglio il suo moncone, e l’ho sollevato per permettere ad Aldo di guadinare il pesce. Un mix di emozioni mi hanno assalito: da un lato la gioia della cattura di un pesce così bello, dall’altro il dispiacere per la rottura della canna. Devo dire però che la felicità per la cattura ha prevalso, anche perché può capitare che le canne si rompano e, fortunatamente, molto spesso è anche possibile ripararle (Nota Postuma: ieri sono andato nel negozio di pesca dove mi servo di solito e Andrea, commesso e ormai mio consulente, mi ha detto che se trova il pezzo, la riparazione mi costerà 35 euro… evvabbè… la canna ne vale moooolti di più!). Slamato il pesce ho fatto anche alcune foto (pessime) col telefonino per immortalare la catture e poi, di corsa, ho provveduto a rilasciare il pesce. 




Aldo poi mi ha aiutato a montare velocemente una lenza sull’altra mia bolognese (da 3.5 metri) che Mauro, il mio Maestro Locale, chiama scherzosamente “PescAnguille”. Purtroppo l’unica lenza pronta decente che avevo era da 2 grammi, ma sempre meglio di nulla. Preparata la canna si sono fatte le 20.00 e Aldo mi ha salutato perché sarebbe dovuto tornare a casa. Sono rimasto qualche altro minuto non tanto nella speranza di prendere altri grossi pesci che, per altro, non si vedevano più passare davanti alla postazione, ma solo per fare un po’ di pratica della tecnica di trattenuta “col dito sulla bobina” (vedi post precedente) che avevo visto fare a quel ragazzo qualche giorno prima. Ho quindi iniziato a lanciare, recuperare leggermente, riaprire l’archetto, mettere il dito sulla bobina e iniziare a “frenare” l’uscita del filo. Effettivamente il sistema sembra molto carino, con il galleggiante che ha delle frenate brevissime e continue. Ho lasciato andare alla deriva per diverse decine di metri il filo migliorando ad ogni passata. Per altro ho notato che questo sistema, a differenza della trattenuta fatta tirando la canna verso monte, permette di ridurre lo spostamento della lenza verso l’interno. Ciò perché il trattenimento non implica lo spostamento a monte del filo, correlato al tirare della canna, ma solo ad un suo effettivo “frenaggio” nello scorrimento. Dopo circa una quindicina di passate a vuoto, finalmente un’abboccata! La cosa più bella è che questa abboccata era avvenuta a diverse decine di metri da me. Cosa che normalmente non sarei mai riuscito a gestire in “trattenuta” con il filo bloccato. Ho ferrato col dito sulla bobina e, visto che si trattava effettivamente di un pesce, ho smanovellato per chiudere l’archetto ed iniziare il recupero. Ho quindi tirato su un bel barbotto di 15 cm. Nulla di eccezionale ma è stato il primo pesce catturato col sistema del “Freno a Dito”! Pochi altri minuti e si era fatto troppo tardi per continuare a pescare. Ho rimesso a posto tutto l’equipaggiamento, ho fatto una foto alla povera Veret spezzata e, camminando verso la macchina, ho iniziato a pensare cosa avrei raccontato in queste pagine che state leggendo… Chissà se mi piace più pescare o raccontare, scrivendole, le emozioni che provo pescando. Lo saprò solo continuando ad imparare…