domenica 8 luglio 2012

8 Luglio 2012: Palle Magiche, Pescioni e Rotture!

Dopo aver seguito i consigli di Mauro ed aver acquistato del filo più sottile da montare sulla mia canna bolognese da 6 mt (una canna Veret in carbonio ad alto modulo) ed averla appunto imbobinata con una lenza monofilo da 0.14, gli ho montato un galleggiante da 1 grammo con piombatura a scalare, terminale da 0,12 e amo del 16 con punta storta. Sono andato al fiume e non c'era nessuno. Avevo deciso di non entrare in acqua ma di provare la nuova montatura dalla riva. Appena arrivato ho subito notato che l'acqua era molto più pulita e chiara del solito. Mi sono quindi detto che dovevo fare attenzione a non muovermi troppo per non spaventare i pesci. Fortunatamente l'abbigliamento, una polo blu notte e degli shorts grigi, non era a tinte troppo chiare o accese e quindi non sarebbe stato un ulteriore problema. Appoggiato l'equipaggiamento mi sono fermato un minuto a gustarmi l'acqua del fiume. La dolce corrente che scorreva, placida, era accompagnata solo dal sussurro della brezza che muoveva le fronde delle piante sulle rive, e dal rumore delle piccole rapide che si formano a circa 50 metri più a valle, dove c'è un piccolo gradino in corrispondenza del sotto ponte. Ho guardato bene il fondale, dato che normalmente il leggero intorbidimento ne impedisce la visione. Nel punto dove mi trovavo il fondale è pressochè quasi tutto completamente sabbioso, almeno fino al centro del corso d'acqua. Più a valle invece, sopra la sabbia, possiamo trovare ciottoli di varie dimensioni. Oltre ai bigattini, nella borsetta frigo che utilizzo per trasportarli, avevo anche un barattolo di plastica del gelato con dentro 3 palle di pastura che mi erano avanzate dall'ultima uscita quando, in realtà, non avevano sortito alcun risultato. Mi sono detto che le avrei dovute utilizzare dato che ormai erano passati un po' troppi giorni dal loro confezionamento. Si erano un po’ rinsecchite ed allora ho provveduto a bagnarle un po’ e a “rimassaggiarle” per ridargli tono e consistenza. Mi sono avvicinato alla riva ed ho lanciato la prima palla a monte, a circa 10-12 metri dalla mia verticale sul fiume. Mmmm… un lancio discreto, ma avrei potuto fare di meglio. Ho pensato di lanciare la seconda, più o meno nella stessa linea di corrente, ma più vicina alla mia verticale, in modo da farla affondare in un punto dove, lanciando bene a monte, ci avrei fatto atterrare la mia esca. Lancio…PLUFF! Un lancio corto di schifo! Di circa 2 metri corto rispetto al punto dove l’avrei voluta mandare.. “Cavolo! Che lancio di schifo che ho fatto” – è stato il mio pensiero – “Bhè, speriamo di fare meglio col terzo ed ultimo lancio…”. PLUFF! Peggio del precedente! Ancora più corto! “Evvabbè… tanto dovevo comunque buttarle ste’ palle…” – e mi è scappata anche una risata. Mentre svolgevo la lenza dalla scaletta e ultimavo gli ultimi preparativi, dietro di me ho sentito una voce. “Ciao! Come va?” – Era Aldo, il mio Maestro Locale, con la sua bicicletta da corsa. Gli ho detto che ero arrivato da pochi minuti e che ancora dovevo effettuare il primo lancio. Dopo pochi altri secondi ho messo finalmente la lenza in acqua ma, porca pupazza, il galleggiante non ne voleva sapere di non affondare troppo. Evidentemente la piombatura era “starata” ed avevo messo troppo piombo che trascinava a fondo il galleggiante. Ho provveduto prima a verificare se ci fosse qualche altro problema aumentando “l’acqua” (allontanando il galleggiante all’amo, per i non tecnici) ma nulla da fare. Ho quindi provveduto a rimuovere il primo piombo a monte utilizzando un Leva Piombi della Stonfo, un aggeggio che, devo dirlo, ancora non riesco ad utilizzare con eccessiva destrezza, specie con i piombini più piccoli. Ho fatto un altro tentativo ma anche questo è stato negativo. Mi è venuto in mente che forse avevo calibrato per errore la lenza pensando di aver su un galleggiante da 1.5 grammi e quindi avendo messo mezzo grammo di troppo. Fatto sta che dopo aver tolto il secondo piombo, stavolta vicino la doppia asola, il galleggiante ha iniziato a fare bene il suo dovere.
Mentre Aldo mi diceva che Andrei era finalmente partito per quel viaggio in Romania (i suoi genitori sono originari di quel Paese) per una breve vacanza, cosa che abbiamo entrambi festeggiato con un sonoro “Evviva!”, ho iniziato a fare un po’ di pastura con i bigattini. Nulla di che, solo qualche fiondata a monte. Mentre lanciavo Aldo mi fa:”Hey! Hai visto che cavedani che stanno passando? Guarda! Guarda!”. Guardo nell’acqua e vedo effettivamente due, tre cavedani belli grossi che risalgono la corrente. Dopo pochi secondi passano anche due carpe piuttosto grossette. Ogni tanto capitava di veder passare qualche bella carpa vicino alla riva, ma mai ci era capitato di vedere tutto quel “traffico” di pesci così grandi! Io a quel punto ho detto ad Aldo “Sai, un paio di minuti prima del tuo arrivo ho lanciato 3 palle di quella pastura che ti ho fatto vedere l’altro giorno… Mi sa che è stata quella…” e lui mi ha risposto: “Ma che cacchio c’era in quella pastura? Stanno salendo tutte belle bestie! Guarda li… Guarda la… Guarda che cavedano! Guarda…altri due!”. Mai vista una cosa del genere in quel tratto di fiume. Purtroppo, anche lanciando l’esca in punti strategici vicini al “movimento ittico” non c’era neanche un segno di abboccata. Lancio altri bigattini e proseguo con le passate. Nulla. Mi stava venendo un po’ di nervoso a vedere quegli straccia di cavedani e carpe che passavano vicino alla mia esca snobbandola alla grande. Ma la pazienza è la virtù dei forti. Dopo poco meno di dieci minuti, una decisa abboccata verso la fine della passata. Ferro e sento una grossa resistenza. Li per li ho pensato fosse un barbo, uno dei tanti che nuotano in quelle acque, ma la forza della sua resistenza e la supersonica virata a sinistra mi hanno fatto cambiare idea. Avevo lasciato la frizione chiusa e, visto come cavolo tirava questo pesce, mi sono subito affrettato ad allentarla. Non appena l’ho fatto il pesce ha iniziato a tirare come un toro imbufalito! La frizione ha cominciato a fischiare ed è iniziato il vero divertimento! Aldo continuava a dire “E’ un grosso cavedano… E’ un grosso cavedano di sicuro!” ed io ne ero veramente felice. Magari era uno di quelli che continuavano a passarmi davanti e che, fortunatamente, aveva fatto l’errore di ingoiare la mia esca. A questo punto ho fatto la mia prima vera esperienza di controllo della lenza per mezzo della leva di combattimento del mulinello Mitchell. Che dire! Fantastica! Potevo graduare la chiusura della frizione semplicemente applicando un po’ di pressione alla leva con l’indice, per poi lasciarla andare per permettere al pesce di sfogarsi un po’. Dopodichè, altra tirata di leva, con conseguente blocco della frizione e conseguente recupero. Era inoltre la prima volta che adoperavo un filo da 0.14 con un terminale 0.12. La mia paura di rompere la lenza e perdere quella bella preda era alta ma, devo dire, più prendevo confidenza con la leva e più mi rassicuravo sulla tenuta dell’intera armatura. Dopo qualche minuto di tira e molla col pesce, sentendo un suo leggero indebolimento nelle tirate, ho deciso di iniziare la fase di recupero finale. Ahimè avevo il guadino ancora nella custodia e solo il gentile intervento di Aldo mi ha permesso di concludere la pescata. Quando, dopo l’ennesimo recupero, ho fatto prendere aria al pesce, ecco la sorpresa! Non era un cavedano ma una gran bella carpa di fiume! La mia prima carpa! Evviva! Il pesce ha tentato di resistere ancora ma la “respirata” lo ha stordito parecchio. Lentamente ho tirato il pesce verso la riva tenendo la leva tirata. Aldo era pronto col guadino ad acchiapparla quando… STAC!!! Un colpo sordo e la mia Veret si spezza in due all’altezza del terzo elemento! NOOOOOO! Che sfiga! Come è possibile? Si sarebbe dovuto rompere prima il terminale? NOOOO… la mia adorata canna!!! E il pesce? Era ancora attaccato al filo! Ho preso la parte finale della canna o meglio il suo moncone, e l’ho sollevato per permettere ad Aldo di guadinare il pesce. Un mix di emozioni mi hanno assalito: da un lato la gioia della cattura di un pesce così bello, dall’altro il dispiacere per la rottura della canna. Devo dire però che la felicità per la cattura ha prevalso, anche perché può capitare che le canne si rompano e, fortunatamente, molto spesso è anche possibile ripararle (Nota Postuma: ieri sono andato nel negozio di pesca dove mi servo di solito e Andrea, commesso e ormai mio consulente, mi ha detto che se trova il pezzo, la riparazione mi costerà 35 euro… evvabbè… la canna ne vale moooolti di più!). Slamato il pesce ho fatto anche alcune foto (pessime) col telefonino per immortalare la catture e poi, di corsa, ho provveduto a rilasciare il pesce. 




Aldo poi mi ha aiutato a montare velocemente una lenza sull’altra mia bolognese (da 3.5 metri) che Mauro, il mio Maestro Locale, chiama scherzosamente “PescAnguille”. Purtroppo l’unica lenza pronta decente che avevo era da 2 grammi, ma sempre meglio di nulla. Preparata la canna si sono fatte le 20.00 e Aldo mi ha salutato perché sarebbe dovuto tornare a casa. Sono rimasto qualche altro minuto non tanto nella speranza di prendere altri grossi pesci che, per altro, non si vedevano più passare davanti alla postazione, ma solo per fare un po’ di pratica della tecnica di trattenuta “col dito sulla bobina” (vedi post precedente) che avevo visto fare a quel ragazzo qualche giorno prima. Ho quindi iniziato a lanciare, recuperare leggermente, riaprire l’archetto, mettere il dito sulla bobina e iniziare a “frenare” l’uscita del filo. Effettivamente il sistema sembra molto carino, con il galleggiante che ha delle frenate brevissime e continue. Ho lasciato andare alla deriva per diverse decine di metri il filo migliorando ad ogni passata. Per altro ho notato che questo sistema, a differenza della trattenuta fatta tirando la canna verso monte, permette di ridurre lo spostamento della lenza verso l’interno. Ciò perché il trattenimento non implica lo spostamento a monte del filo, correlato al tirare della canna, ma solo ad un suo effettivo “frenaggio” nello scorrimento. Dopo circa una quindicina di passate a vuoto, finalmente un’abboccata! La cosa più bella è che questa abboccata era avvenuta a diverse decine di metri da me. Cosa che normalmente non sarei mai riuscito a gestire in “trattenuta” con il filo bloccato. Ho ferrato col dito sulla bobina e, visto che si trattava effettivamente di un pesce, ho smanovellato per chiudere l’archetto ed iniziare il recupero. Ho quindi tirato su un bel barbotto di 15 cm. Nulla di eccezionale ma è stato il primo pesce catturato col sistema del “Freno a Dito”! Pochi altri minuti e si era fatto troppo tardi per continuare a pescare. Ho rimesso a posto tutto l’equipaggiamento, ho fatto una foto alla povera Veret spezzata e, camminando verso la macchina, ho iniziato a pensare cosa avrei raccontato in queste pagine che state leggendo… Chissà se mi piace più pescare o raccontare, scrivendole, le emozioni che provo pescando. Lo saprò solo continuando ad imparare…

Nessun commento:

Posta un commento