Aldo poi mi ha aiutato a montare velocemente una lenza
sull’altra mia bolognese (da 3.5 metri) che Mauro, il mio Maestro Locale,
chiama scherzosamente “PescAnguille”. Purtroppo l’unica lenza pronta decente
che avevo era da 2 grammi, ma sempre meglio di nulla. Preparata la canna si
sono fatte le 20.00 e Aldo mi ha salutato perché sarebbe dovuto tornare a casa.
Sono rimasto qualche altro minuto non tanto nella speranza di prendere altri
grossi pesci che, per altro, non si vedevano più passare davanti alla
postazione, ma solo per fare un po’ di pratica della tecnica di trattenuta “col
dito sulla bobina” (vedi post precedente) che avevo visto fare a quel ragazzo
qualche giorno prima. Ho quindi iniziato a lanciare, recuperare leggermente,
riaprire l’archetto, mettere il dito sulla bobina e iniziare a “frenare” l’uscita
del filo. Effettivamente il sistema sembra molto carino, con il galleggiante
che ha delle frenate brevissime e continue. Ho lasciato andare alla deriva per
diverse decine di metri il filo migliorando ad ogni passata. Per altro ho
notato che questo sistema, a differenza della trattenuta fatta tirando la canna
verso monte, permette di ridurre lo spostamento della lenza verso l’interno.
Ciò perché il trattenimento non implica lo spostamento a monte del filo,
correlato al tirare della canna, ma solo ad un suo effettivo “frenaggio” nello
scorrimento. Dopo circa una quindicina di passate a vuoto, finalmente un’abboccata!
La cosa più bella è che questa abboccata era avvenuta a diverse decine di metri
da me. Cosa che normalmente non sarei mai riuscito a gestire in “trattenuta”
con il filo bloccato. Ho ferrato col dito sulla bobina e, visto che si trattava
effettivamente di un pesce, ho smanovellato per chiudere l’archetto ed iniziare
il recupero. Ho quindi tirato su un bel barbotto di 15 cm. Nulla di eccezionale
ma è stato il primo pesce catturato col sistema del “Freno a Dito”! Pochi altri
minuti e si era fatto troppo tardi per continuare a pescare. Ho rimesso a posto
tutto l’equipaggiamento, ho fatto una foto alla povera Veret spezzata e,
camminando verso la macchina, ho iniziato a pensare cosa avrei raccontato in
queste pagine che state leggendo… Chissà se mi piace più pescare o raccontare,
scrivendole, le emozioni che provo pescando. Lo saprò solo continuando ad
imparare…
domenica 8 luglio 2012
8 Luglio 2012: Palle Magiche, Pescioni e Rotture!
Dopo aver seguito i consigli di Mauro ed aver acquistato del
filo più sottile da montare sulla mia canna bolognese da 6 mt (una canna Veret
in carbonio ad alto modulo) ed averla appunto imbobinata con una lenza monofilo
da 0.14, gli ho montato un galleggiante da 1 grammo con piombatura a scalare,
terminale da 0,12 e amo del 16 con punta storta. Sono andato al fiume e non
c'era nessuno. Avevo deciso di non entrare in acqua ma di provare la nuova
montatura dalla riva. Appena arrivato ho subito notato che l'acqua era molto
più pulita e chiara del solito. Mi sono quindi detto che dovevo fare attenzione
a non muovermi troppo per non spaventare i pesci. Fortunatamente
l'abbigliamento, una polo blu notte e degli shorts grigi, non era a tinte
troppo chiare o accese e quindi non sarebbe stato un ulteriore problema.
Appoggiato l'equipaggiamento mi sono fermato un minuto a gustarmi l'acqua del
fiume. La dolce corrente che scorreva, placida, era accompagnata solo dal
sussurro della brezza che muoveva le fronde delle piante sulle rive, e dal
rumore delle piccole rapide che si formano a circa 50 metri più a valle, dove
c'è un piccolo gradino in corrispondenza del sotto ponte. Ho guardato bene il
fondale, dato che normalmente il leggero intorbidimento ne impedisce la visione.
Nel punto dove mi trovavo il fondale è pressochè quasi tutto completamente
sabbioso, almeno fino al centro del corso d'acqua. Più a valle invece, sopra la
sabbia, possiamo trovare ciottoli di varie dimensioni. Oltre ai bigattini,
nella borsetta frigo che utilizzo per trasportarli, avevo anche un barattolo di
plastica del gelato con dentro 3 palle di pastura che mi erano avanzate
dall'ultima uscita quando, in realtà, non avevano sortito alcun risultato. Mi
sono detto che le avrei dovute utilizzare dato che ormai erano passati un po'
troppi giorni dal loro confezionamento. Si erano un po’ rinsecchite ed
allora ho provveduto a bagnarle un po’ e a “rimassaggiarle” per ridargli tono e
consistenza. Mi sono avvicinato alla riva ed ho lanciato la prima palla a
monte, a circa 10-12 metri dalla mia verticale sul fiume. Mmmm… un lancio
discreto, ma avrei potuto fare di meglio. Ho pensato di lanciare la seconda,
più o meno nella stessa linea di corrente, ma più vicina alla mia verticale, in
modo da farla affondare in un punto dove, lanciando bene a monte, ci avrei
fatto atterrare la mia esca. Lancio…PLUFF! Un lancio corto di schifo! Di circa
2 metri corto rispetto al punto dove l’avrei voluta mandare.. “Cavolo! Che
lancio di schifo che ho fatto” – è stato il mio pensiero – “Bhè, speriamo di
fare meglio col terzo ed ultimo lancio…”. PLUFF! Peggio del precedente! Ancora
più corto! “Evvabbè… tanto dovevo comunque buttarle ste’ palle…” – e mi è
scappata anche una risata. Mentre svolgevo la lenza dalla scaletta e ultimavo
gli ultimi preparativi, dietro di me ho sentito una voce. “Ciao! Come va?” –
Era Aldo, il mio Maestro Locale, con la sua bicicletta da corsa. Gli ho detto
che ero arrivato da pochi minuti e che ancora dovevo effettuare il primo
lancio. Dopo pochi altri secondi ho messo finalmente la lenza in acqua ma,
porca pupazza, il galleggiante non ne voleva sapere di non affondare troppo.
Evidentemente la piombatura era “starata” ed avevo messo troppo piombo che
trascinava a fondo il galleggiante. Ho provveduto prima a verificare se ci
fosse qualche altro problema aumentando “l’acqua” (allontanando il galleggiante
all’amo, per i non tecnici) ma nulla da fare. Ho quindi provveduto a rimuovere
il primo piombo a monte utilizzando un Leva Piombi della Stonfo, un aggeggio
che, devo dirlo, ancora non riesco ad utilizzare con eccessiva destrezza,
specie con i piombini più piccoli. Ho fatto un altro tentativo ma anche questo
è stato negativo. Mi è venuto in mente che forse avevo calibrato per errore la
lenza pensando di aver su un galleggiante da 1.5 grammi e quindi avendo messo
mezzo grammo di troppo. Fatto sta che dopo aver tolto il secondo piombo, stavolta
vicino la doppia asola, il galleggiante ha iniziato a fare bene il suo dovere.
Mentre Aldo mi diceva che Andrei era finalmente partito per
quel viaggio in Romania (i suoi genitori sono originari di quel Paese) per una
breve vacanza, cosa che abbiamo entrambi festeggiato con un sonoro “Evviva!”,
ho iniziato a fare un po’ di pastura con i bigattini. Nulla di che, solo
qualche fiondata a monte. Mentre lanciavo Aldo mi fa:”Hey! Hai visto che
cavedani che stanno passando? Guarda! Guarda!”. Guardo nell’acqua e vedo
effettivamente due, tre cavedani belli grossi che risalgono la corrente. Dopo
pochi secondi passano anche due carpe piuttosto grossette. Ogni tanto capitava
di veder passare qualche bella carpa vicino alla riva, ma mai ci era capitato
di vedere tutto quel “traffico” di pesci così grandi! Io a quel punto ho detto
ad Aldo “Sai, un paio di minuti prima del tuo arrivo ho lanciato 3 palle di
quella pastura che ti ho fatto vedere l’altro giorno… Mi sa che è stata quella…”
e lui mi ha risposto: “Ma che cacchio c’era in quella pastura? Stanno salendo
tutte belle bestie! Guarda li… Guarda la… Guarda che cavedano! Guarda…altri
due!”. Mai vista una cosa del genere in quel tratto di fiume. Purtroppo, anche
lanciando l’esca in punti strategici vicini al “movimento ittico” non c’era
neanche un segno di abboccata. Lancio altri bigattini e proseguo con le
passate. Nulla. Mi stava venendo un po’ di nervoso a vedere quegli straccia di
cavedani e carpe che passavano vicino alla mia esca snobbandola alla grande. Ma
la pazienza è la virtù dei forti. Dopo poco meno di dieci minuti, una decisa
abboccata verso la fine della passata. Ferro e sento una grossa resistenza. Li
per li ho pensato fosse un barbo, uno dei tanti che nuotano in quelle acque, ma
la forza della sua resistenza e la supersonica virata a sinistra mi hanno fatto
cambiare idea. Avevo lasciato la frizione chiusa e, visto come cavolo tirava
questo pesce, mi sono subito affrettato ad allentarla. Non appena l’ho fatto il
pesce ha iniziato a tirare come un toro imbufalito! La frizione ha cominciato a
fischiare ed è iniziato il vero divertimento! Aldo continuava a dire “E’ un
grosso cavedano… E’ un grosso cavedano di sicuro!” ed io ne ero veramente
felice. Magari era uno di quelli che continuavano a passarmi davanti e che,
fortunatamente, aveva fatto l’errore di ingoiare la mia esca. A questo punto ho
fatto la mia prima vera esperienza di controllo della lenza per mezzo della
leva di combattimento del mulinello Mitchell. Che dire! Fantastica! Potevo
graduare la chiusura della frizione semplicemente applicando un po’ di
pressione alla leva con l’indice, per poi lasciarla andare per permettere al
pesce di sfogarsi un po’. Dopodichè, altra tirata di leva, con conseguente
blocco della frizione e conseguente recupero. Era inoltre la prima volta che
adoperavo un filo da 0.14 con un terminale 0.12. La mia paura di rompere la
lenza e perdere quella bella preda era alta ma, devo dire, più prendevo
confidenza con la leva e più mi rassicuravo sulla tenuta dell’intera armatura.
Dopo qualche minuto di tira e molla col pesce, sentendo un suo leggero
indebolimento nelle tirate, ho deciso di iniziare la fase di recupero finale.
Ahimè avevo il guadino ancora nella custodia e solo il gentile intervento di
Aldo mi ha permesso di concludere la pescata. Quando, dopo l’ennesimo recupero,
ho fatto prendere aria al pesce, ecco la sorpresa! Non era un cavedano ma una
gran bella carpa di fiume! La mia prima carpa! Evviva! Il pesce ha tentato di
resistere ancora ma la “respirata” lo ha stordito parecchio. Lentamente ho
tirato il pesce verso la riva tenendo la leva tirata. Aldo era pronto col
guadino ad acchiapparla quando… STAC!!! Un colpo sordo e la mia Veret si spezza
in due all’altezza del terzo elemento! NOOOOOO! Che sfiga! Come è possibile? Si
sarebbe dovuto rompere prima il terminale? NOOOO… la mia adorata canna!!! E il
pesce? Era ancora attaccato al filo! Ho preso la parte finale della canna o
meglio il suo moncone, e l’ho sollevato per permettere ad Aldo di guadinare il
pesce. Un mix di emozioni mi hanno assalito: da un lato la gioia della cattura
di un pesce così bello, dall’altro il dispiacere per la rottura della canna.
Devo dire però che la felicità per la cattura ha prevalso, anche perché può
capitare che le canne si rompano e, fortunatamente, molto spesso è anche
possibile ripararle (Nota Postuma: ieri sono andato nel negozio di pesca dove
mi servo di solito e Andrea, commesso e ormai mio consulente, mi ha detto che
se trova il pezzo, la riparazione mi costerà 35 euro… evvabbè… la canna ne vale
moooolti di più!). Slamato il pesce ho fatto anche alcune foto (pessime) col
telefonino per immortalare la catture e poi, di corsa, ho provveduto a
rilasciare il pesce.
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