Finalmente le ferie estive! Dopo un intero anno di lavoro,
questi benedetti 15 giorni di vacanza sono arrivati. Da qualche anno ho la
fortuna di trascorrere le ferie in Sardegna, a Riola Sardo, un paesino in
provincia di Oristano. Un’oretta per raggiungere in auto il porto di
Civitavecchia e poi circa 5 ore di traghetto per arrivare ad Olbia, punto
d’attracco della nostra vacanza isolana. Dico nostra perché ovviamente ero in
compagnia della mia amata Nicoletta, mia moglie da poco più di due anni, ma che
da oltre 15 anni mi “sopporta” con pazienza.
Scesi dal traghetto ci aspettano
altre tre ore circa di superstrada per arrivare a destinazione. Percorriamo la
strada che è già buio ma il pensiero di essere “finalmente in vacanza” rende
quest’ultimo sforzo quasi piacevole. Prima di partire i miei maestri Aldo e
Mauro non hanno fatto altro che darmi dritte sulla pesca in mare,
consigliandomi lenze, esche e tecniche. Devo dire la verità, fino a quel
momento la pesca in acqua salata non mi ha mai stuzzicato troppo ma chissà,
magari avrei cambiato idea. Nel caricare
la macchina decisi di portare con me le due canne bolognesi, lasciando a casa
le due canne fisse da 5 e 7 metri. A ripensarci avrei dovuto portare almeno la
canna più corta, viste le successive evoluzioni. Il mio pensiero infatti non
era tanto quello di provare a pescare in mare ma bensì quello di mettere le mie
canne nell’acqua del fiume Rio che scorre a Riola, a soli 30 metri da casa
nostra. Mio suocero aveva già pescato in quel placido fiume e mi aveva
raccontato di aver preso delle gran belle carpe. Non vedevo l’ora di provare
anch’io a pescarne qualcuna.
Arrivati a casa, dopo esserci sistemati, non ho resistito a
dare un’occhiata nello stanzino di casa nostra dove mio suocero tiene le sue
canne (per altro, prima di partire, mi aveva autorizzato ad usarle liberamente,
se ne avessi avuto voglia). In un contenitore c’erano 6-7 canne, di tutti i
tipi, tra cui spiccavano una meravigliosa canna da traina (mai usata!) e due
canne da surfcasting, di produzione cinese, con mulinelli cinesi di bassa
qualità, caricati con un filo giallo dallo spessore imbarazzante! Lo guardo
bene e lo stimo ad un 0.50 almeno! Cavolo! Ma che bestie di carpe ci sono qui?
I miei mulinelli erano ancora caricati con i fili che uso per barbi e cavedani
del fiume Nera: 0.12 e 0.14! Cosa avrei potuto fare con questi “capellini” se
mio suocero aveva ritenuto opportuno lo 0.50?
In quei giorni, nella nostra casa, c’erano anche mio cognato
Nicola con la sua compagna Maria Rita e suo figlio quattordicenne Andrea. Nei
giorni precedenti Andrea era stato a pesca al fiume insieme a mio suocero ed
aveva avuto un’esperienza davvero elettrizzante ed indimenticabile. Utilizzando
una canna da pesca fissa tutta sgangherata, aveva pescato, a poco più di un
metro e mezzo dalla riva, una carpa di oltre 6 kilogrammi! Era impaziente di
tornare a pesca insieme a me e quindi non vedeva l’ora che io arrivassi a
Riola. Quando ci siamo incontrati mi ha subito raccontato di questa pesca
fantastica e mi ha accompagnato nello spot dove aveva avuto questa avventura.
Ha poi aggiunto particolari circa il tipo di esca usata, il mais, e sulla
profondità dell’acqua in quel punto. Lo spot, vicinissimo a casa, era
raggiungibile attraversando l’orto dei nostri vicini ed amici sardi Mauro e
Anna, semplicemente aprendo un cancellino in legno chiuso con una catenella con
lucchetto. I nostri amici erano stati gentilissimi nel fornirci una copia della
chiave per poter accedere liberamente al fiume quando volevamo. La riva si
presentava un po’ stretta e circondata da piante e alberi piuttosto invadenti
che, valutai, avrebbero reso i lanci con la bolognese parecchio complicati.
Andrea mi mostrò il punto esatto dove aveva abboccato la “carpona” indicandomi
una zona a circa 1 metro e mezzo dalla riva. La mia domanda fu molto semplice:
“Ma quant’è alta l’acqua li?” e lui rispose:”Mah… pochissimo! Sarà mezzo metro…
al massimo 60 cm!”. Pensai immediatamente che per risolvere il problema
dell’ingombro delle piante e degli alberi avrei potuto indossare i wader per
entrare in acqua ed avere maggiore libertà di movimento e lancio. Andammo a
casa dopo questa prima perlustrazione, ma entrambi non vedevamo l’ora di
ritornare li con le canne da pesca.
Il giorno seguente, dopo una meravigliosa giornata passata
al mare, nel fantastico scenario di Maimoni, una delle spiaggie più belle della
zona, io e Andrea prendemmo due canne e ci recammo al fiume. Per questa prima
uscita scelsi una delle canne di mio suocero, giusto per provare la differenza
con le mie e per verificare se, effettivamente, un filo 0.50 avesse una valida
giustificazione. Arrivammo al fiume un po’ tardino, la luce del tramonto già
era piuttosto bassa. Andrea mi chiese se avevo una starlight ed io risposi di
si dopo essermi ricordato che il “cacaseco” Andrei me ne aveva regalato uno
poche settimane prima della mia partenza per il mare. Le starlight sono delle
piccole barrette di plastica trasparente che contengono due sostanze chimiche
separate da un sottile diaframma. Se la barretta viene piegata con un po’ di
forza, questo diaframma si rompe e le due sostanze entrano in contatto
scatenando una reazione chimica che produce una certa luminosità che dura per
alcune ore. Di solito queste starlight vengono inserite in cima ai
galleggianti, al posto dell’antenna, per permettere la visione del galleggiante
medesimo in condizioni di scarsa o nulla visibilità. In pratica permettono di
pescare anche di notte. Purtroppo il galleggiante che montavo non aveva l’antenna
estraibile e quindi ci arrangiammo fissando lo starlight con un piccolo
elastichetto. Il risultato fu abbastanza orribile, con lo starlight messo di
traverso e adagiato a pelo d’acqua. Ma la cosa fu divertente e non mi lamentai.
Ovviamente non prendemmo nulla ma fu l’occasione per iniziare a prendere confidenza con questo fiume e per
bere una bella birra doppio malto che avevo appena tirato fuori dal
frigorifero. Dopo circa 30 minuti si fece quasi completamente buio e decidemmo
di rientrare. Mi avanzò un pochino di birra che, per gioco, scolai nel
barattolino del mais… chissà… magari l’aroma sarebbe stato apprezzato dalle
carpe!
Il giorno dopo decisi di non pescare ma di fare solo un
salto al fiume per verificare alcuni miei sospetti. Mi avvicinai alla riva
guardando l’acqua. La corrente in quel punto del fiume è quasi nulla. Sembra
quasi di pescare in un lago. Da sponda a sponda ci saranno stati almeno 50-60
metri di acqua scura e torbida per via del fondo melmoso. Ogni tanto si
sentivano schianti impressionanti provocati dal salto dei grossi pesci che lo
popolavano. Non vedevo l’ora di provare di nuovo! Prima di andare via mi volli
togliere una curiosità. Presi una canna dal canneto li vicino e la infilai in
acqua a circa 20 cm dalla riva. Effettivamente la profondità ammontava a circa
50 cm come mi aveva detto Andrea. Provai però ad affondarla a circa 70 cm dalla
riva e li fu la sorpresa! Il fiume scendeva immediatamente a ben oltre 1 metro
e mezzo di profondità e oltre! Ed io che volevo provare ad entrare coi wader!
Sai che divertimento sarebbe stato! Sarei potuto annegare dopo il primo passo!
Il giorno successivo, io e Andrea andammo sull’altra riva
del fiume, esattamente nel punto opposto a quello che avevo esplorato il
pomeriggio precedente. Trovammo facilmente un posticino fantastico: niente
alberi, nessun ostacolo e, volendo, anche la possibilità di raggiungere lo spot
con la macchina. Aprimmo le canne ed iniziammo a pescare. Andrea aveva la canna
fissa mezza rotta con filo 0.50 e una montatura basata su una singola torpilla
con un galleggiante cinese in plastica che gli aveva permesso di prendere la
carpa da 6Kg e, come si dice, “squadra che vince…non si cambia”. Io invece, non
avendo altro materiale a disposizione, utilizzai la mia bolognese da 6 metri
con lenza madre da 0.16, il più grande che avevo, e terminale 0.14 con ami del
16. In poche parole sembravamo Golia (Andrea) e Davide (io) con due
attrezzature così diverse.
Dopo pochi minuti di attesa ecco la prima preda!
Presi infatti all’amo un bel pesce gatto. Da quelle parti, visti di danni
provocati da questo voracissimo pesce al resto della fauna ittica del fiume, i
pesci gatto vengono o portati a casa per essere cucinati o sistematicamente
uccisi dopo la cattura. Nessuno ributta i pesci gatto in quel fiume, niente
“catch & release” insomma. Dato che mia moglie è letteralmente terrorizzata
dal quello strano pesce ed io non riesco assolutamente a togliere la vita
consapevolmente agli animali, li ributtai tutti in acqua. Poco dopo anche la prima carpa, una taglia non esagerata ma davvero un bell'animale.
Dopo qualche minuto la canna di Andrea si flettè in maniera
incredibile! Un abboccata eccezionale! Il combattimento fu subito acceso tra il
pesce ed il mio giovane amico. Sicuramente si trattava di una bella carpa che
tirava come un vero torello. Dopo qualche tentativo di fuga il pesce mirò
dritto verso la riva dove una fitta vegetazione avrebbe potuto salvarla facendo
impicciare la lenza. Io preparai il guadino mentre Andrea si spostava lungo la
riva per cercare di tenere il pesce lontano dalla possibile via di fuga.
Purtroppo il pesce riuscì ad imbucarsi sottoriva mentre Andrea continuava a
tirare per evitare di perderlo. Io ero li col guadino, pronto a catturarla, ma
il pesce era protetto dalle piante e non riuscivo a scorgerlo anche se era
materialmente sotto i miei piedi. Il mio amico mi urlava eccitato “Scarufa!
Scarufa!” (termine dialettale ternano per “Rovista!”) ed io lo feci infilando a
caso il guadino in mezzo alle piante per cercare di acchiappare il pesce.
Finalmente, con un pizzico di fortuna, riuscii ad inguadinare la carpa, un
bellissimo esemplare lungo almeno 60 cm e dal peso orientativo di circa 2 kili
e mezzo. Eravamo intrambi così eccitati e divertiti. Convinsi Andrea a
rilasciare il pesce, come per i pesci gatto. Tornammo a casa dopo un po’
continuando a ridere e a dirci “Scarufa! Scarufa!” che sarebbe diventato il
tormentone delle vacanze.
Un paio di giorni dopo Andrea ripartì e quindi iniziai ad
andare a pesca da solo. Trovai anche un altro bellissimo posticino, non lontano
da casa, dotato anche di un comodo pontile in legno dove era facile sistemarsi
con equipaggiamento e sediolina. Anche li pescai qualche bel pesce ma il
ricordo più bello è legato ai meravigliosi tramonti che si potevano ammirare al
volgere della sera. Una sensazione di pace e tranquillità avvolgeva tutto,
regalandomi momenti indimenticabili.
Dato che nei giorni successivi il pontile era diventato
abbastanza frequentato, decisi di tornare nel posto della “Carpa Scarufante”.
Aperta la seggiolina e la canna, lanciai un paio di manciate di mais come
pastura e mi sedevo ad aspettare con la lenza in acqua a meno di 10 metri dalla
riva. Come ho già detto, il posto è veramente di una comodità unica. Si può
arrivare tranquillamente anche con la macchina parcheggiandola a due metri
dallo spot. L’unico difetto? Un terrificante, nauseabondo, quasi insopportabile
odore di pecore! Si, ogni giorno, un pastore del luogo, faceva passare proprio
li il suo enorme gregge. Potete immaginare quale meraviglioso olezzo! E non
solo! Almeno una volta a sera, si avvicinavano due cani pastore maremmano (non
proprio di razza pura) di discrete dimensioni, che non mi facevano stare tanto
tranquillo. Fortunatamente bastarono un paio di urlacci convinti per farli
allontanare e tornare sereni a pescare.
Durante quei giorni era possibile vedere altri pescatori in
quella zona. Quasi tutti utilizzavano lenze con galleggianti scorrevoli per la
pesca a fondo. Apparentemente continuavo ad essere l’unico con un sistema “da
passata” semplice e con fili sottili. La cosa più divertente però era vedere
come io tiravo su belle carpe tra i 6 etti e i 2 kg a circa 8-10 metri dalla
riva, con i miei “capellini” di nylon 0.12-0.14 mentre gli altri pescatori,
armati di canne da casting, fili 0.30-0.50 e con lanci a circa 40 metri, non
prendevano nulla.
Un giorno che dimenticai la macchina fotografica e il
telefonino a casa, mi capitò di prendere un bel numero di carpe di varie misure
ed anche un bass piuttosto giovane. Non potendo fotografarli, usai dei piccoli
pezzi di canna di fiume per misurarle e a mo’ di ideale trofeo. Quando tornai a
casa li mostrai a Nicoletta che mi fece notare come due di queste cannucciole
erano perfettamente della stessa lunghezza. Effettivamente avevo pescato la
stessa carpa per 2 volte durante la stessa giornata. L’avevo riconosciuta da
una piccola ferita vicino la branchia destra. Fu ufficialmente nominata “Carpa
più bischera di Sardegna 2012”!
In quel punto meraviglioso, dopo le 19.30, se ogni cinque
minuti non si vedeva un’abboccata il motivo poteva essere uno ed uno solo: il
mais si era staccato dall’amo. Infatti, dopo quell’orario, si iniziavano a
notare parecchie “bollate” (cerchi concentrici sulla superficie dell’acqua, prodotti
dai pesci sottostanti) vicino alla lenza. Che spettacolo veder partire il
galleggiante e sentire le formidabili “tirate” di quelle splendide carpe!
Serate fantastiche di pesca in un posto splendido: cosa pretendere di più?
Ah
si… Una birretta doppio malto gelata che mi portavo spesso dentro la cassettina…
Bhè… ora siamo veramente a posto!
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